La Commissione europea, tramite la commissaria ai servizi finanziari, Mairead McGuinness, nell’ambito della proposta legislativa “EU Retail Investment Strategy”, ha reso noto l’intenzione di istituire un provvedimento ad hoc che introduce il divieto alle cosiddette “retrocessioni”. La proposta ha sollevato un acceso dibattito tra gli operatori del settore, a cominciare dai consulenti finanziari (o reti di consulenza) che, inevitabilmente, saranno colpiti da questo provvedimento (nel bene o nel male).
Già perché, le retrocessioni non sono altro che delle commissioni che vengono pagate ai consulenti per la vendita di determinati prodotti finanziari. Si pensi a un fondo comune a gestione attiva gravato da commissioni molto più alte rispetto, ad esempio, agli ETF. Ebbene, generalmente, una piccola parte di queste commissioni viene ceduta alle stesse banche, sim e quindi ai loro consulenti. In tal modo, i clienti (investitori / risparmiatori) non pagano alcuna parcella per questo servizio; dall’altro lato, però, il consulente, inevitabilmente, è soggetto a conflitto d’interessi, nel senso che potrebbe proporre uno strumento finanziario soltanto perché paga commissioni maggiori e non perché sia il più adatto alle esigenze del cliente stesso.
Ovviamente, in questo caso, stiamo parlando del consulente abilitato all’offerta fuori sede (ex promotore finanziario), che lavora per una banca o altro intermediario. Il consulente finanziario “autonomo”, per legge, non può percepire alcuna commissione di questo tipo. Lo stesso, infatti, viene retribuito direttamente dai propri clienti, come qualsiasi altro professionista (commercialista, avvocato ecc.).
Se il provvedimento in argomento dovesse essere approvato, le due figure sarebbero molto più vicine rispetto a quanto accade oggi.
Retrocessioni, in cosa consistono e perché queste commissioni generano conflitti d’interesse?
Le retrocessioni, anche dette kickback o indennità di distribuzione di fondi, non sono nient’altro che delle commissioni che, ad esempio, una banca (o altro intermediario) può ricevere da una Società di Gestione del Risparmio (SGR) per la vendita di un proprio prodotto finanziario. In questo caso, dunque, i clienti potranno essere seguiti gratuitamente (più o meno).
Qual è il problema? Un meccanismo di questo tipo, inevitabilmente, può generare dei comportamenti non virtuosi da parte degli stessi consulenti finanziari, che sono in conflitto d’interessi. Quest’ultimi, infatti, potrebbero consigliare degli strumenti finanziari che generano maggiori commissioni e non i prodotti più adatti alle esigenze del cliente. Possiamo anche dire che la gratuità del servizio è solamente apparente, e purtroppo, nella maggior parte dei casi, il cliente è ignaro di tutto questo.
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Ecco perché, di recente, sta sempre più prendendo piede la figura professionale del consulente finanziario “autonomo”, il quale non può ricevere commissioni da terze parti e opera nell’esclusivo interesse del cliente (senza alcun tipo di conflitto d’interesse).
La differenza dei prodotti offerti è ormai sotto gli occhi di tutti. Banche, SIM e i loro consulenti finanziari (generalmente) spingono i propri clienti verso la sottoscrizione di fondi comuni a gestione attiva dalle alte commissioni. Viceversa, i consulenti “autonomi” spesso costruiscono i portafogli d’investimento tramite ETF, in modo da abbattere drasticamente tali costi, a tutto vantaggio dei risparmiatori che si affidano a essi.
Adesso gli ETF potrebbero avere più spazio
Con il provvedimento sopra menzionato, la Commissione Europea vorrebbe vietare le retrocessioni. Se il disegno di legge dovesse venire approvato, si assisterebbe a una svolta davvero importante per il mondo della consulenza finanziaria. In particolare, dunque, l’Europa imporrebbe il cosiddetto modello “fee only”, che, a differenza dell’attuale modello “commission only” (almeno per quanto riguarda l’offerta fuori sede) si caratterizza per una maggiore attenzione al cliente e non al prodotto.
Così facendo, le due figure del consulente finanziato (autonomo e abilitato all’offerta fuori sede) si avvicinerebbero sempre di più. Nel modello “fee only”, infatti, il consulente è remunerato direttamente dal cliente, cosa che già avviene per gli “autonomi”.
Anche per questo, pensiamo che strumenti finanziari come gli ETF, maggiormente efficienti ma dalle bassissime commissioni, potrebbero finalmente prendere piede.
Adesso dobbiamo fare alcune considerazioni. È chiaro che i mancate guadagni relativi alle commissioni di retrocessione, inevitabilmente, saranno caricati agli stessi clienti, che dovranno pagare un costo più alto per la consulenza. Ad ogni modo, come già detto, l’attuale gratuità è soltanto apparente. Le alte commissioni pagate per la sottoscrizione e la gestione di strumenti finanziari quali fondi comuni, ma anche polizze ramo 1 e 3 ecc., potrebbero rappresentare dei costi ben più alti, seppur nascosti, rispetto alla parcella pagata al professionista. Inoltre, una consulenza non libera da conflitti d’interesse non può che essere inefficace.
Dal nostro punto di vista, dunque, ben venga una simile proposta di legge. Siamo sicuri che a giovarne saranno proprio gli investitori, piccoli o grandi che siano.